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La Foresta di Kocevje - Kocevje Forest

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Il XX secolo ha segnato l'inizio di una lenta e inesorabile contrazione dell'Orso Bruno (Ursus Arctos) dall'ultimo lembo in cui era ancora presente nell'arco alpino italiano, il Trentino. I continui disboscamenti ed una conseguente riduzione del territorio di presenza della specie è stata la ovvia conseguenza della drammatica riduzione numerica di esemplari.

Alla fine degli anni novanta le analisi effettuate per la realizzazione del Progetto Life Ursus confermarono l'estinzione biologica dell'orso, ridotto a tre esemplari vecchi e non più in grado di riprodursi. L'ambizioso e complicato Progetto Life Ursus nasce dal desiderio di preservare la presenza dell'orso bruno nel Parco Naturale Adamello Brenta (PNAB). 

Il 1996 vede l'accettazione del Progetto “Ursus: tutela della popolazione di orso bruno del Brenta” da parte della Commissione Europea.
Il 26 maggio 1999 è una data molto importante. In quella data veniva rilasciato in Val di Tovel, Masun, il primo degli orsi protagonisti del Progetto Life Ursus. 

A seguire, fino al maggio del 2002, ne verranno rilasciati altri nove – Kirka, Daniza, Joze, Irma, Jurka, Vida, Gasper, Brenta e Maja (in sostituzione della femmina, purtroppo morta sotto una slavina, Irma). Grazie all'introduzione di questi esemplari prelevati dalle foreste Slovene la popolazione stimata a fine 2013 va dai 40 ai 49 esemplari. 

Seguendo costantemente le vicende di questo magnifico animale sull'arco alpino orientale italiano da un paio di anni, ero desideroso di visitare alcune delle foreste da dove provengono Daniza e gli altri magnifici 10. Così ho deciso di trascorrere qualche giorno alla scoperta della foresta di Kocevje, una delle due zone di prelievo degli orsi Sloveni. 

La regione, situata a sud-est della Slovenia, conta 36 riserve forestali e 4 zone di foresta vergine con alberi immensi e stupendi, che rispondono solamente alle leggi della natura e che possono raggiungere anche i 500 anni di età. Gli alberi maggiormente diffusi sono il faggio, l'abete bianco e l'abete rosso, ma ci sono anche querce, aceri, frassini, tigli. La coltre di legno è da due a tre volte più spessa di quella nelle foreste vicine. 

Purtroppo, il terribile gelicidio che, all'inizio di febbraio, ha colpito il paese ha creato danni gravissimi alle foreste. Molti alberi imponenti si sono spezzati a causa del peso del ghiaccio. Un fenomeno del genere non si era mai visto. Squadre di boscaioli sono al lavoro per ripulire la foresta dagli ingenti danni subiti. Quasi il 40% delle foreste è stato distrutto o fortemente danneggiato. 

Si pensa che ci vorranno almeno otto mesi per tagliare e recuperare tutti gli alberi crollati, spezzati, danneggiati. Gli esperti stimano in almeno trentanni il periodo per il recupero completo della situazione precedente al disastro. 

Quasi 500.000 ettari di foresta (più della superficie dell’intero Molise), pari a circa la metà di tutto il patrimonio forestale sloveno, sono stati coinvolti, con molti milioni di metri cubi di vegetazione persa, e con essa migliaia di uccelli, piccoli mammiferi come scoiattoli e ghiri, e poi cervi, caprioli e i grandi predatori che hanno perso il loro habitat. 

Per cercare di avvistare gli orsi, animali con un udito e un fiuto molto sensibili, ho usufruito di un paio di capanni posti all'interno della foresta, in modo che la mia presenza potesse essere il più discreta possibile. L'avvicinamento ai capanni viene fatta, prima in auto, attraverso strade sterrate che si addentrano in queste meravigliose foreste poi, una volta in prossimità dei capanni, a piedi nel cuore più selvaggio. Il tratto di escursione che porta dall'auto al capanno è impervio, a tratti leggermente impegnativo. Si snoda fra grossi sassi ed immensi alberi, muschi e licheni aggrappatisi alle rocce e ai tronchi caduti a terra. Camminando si scorgono i meravigliosi abeti “feriti” dalla grande ghiacciata, i faggi segnati dal vero falegname delle foreste, il Picchio Nero. Proprio il Picchio Nero (nome scientifico Dryocopus Martius), con il suo becco a forma di pugnale e grazie al suo potentissimo collo, trafora i tronchi alla ricerca di larve per nutrirsi, per realizzare il nido riproduttivo o come segnale del proprio predominio nella zona del proprio areale trasformandoli, talvolta, in vere e proprie opere d'arte. Una volta giunto al capanno inizia la lunga attesa. Adoro quegli attimi di silenzio assoluto immerso nella natura interrotto solamente dal canto di qualche uccellino, dal tambureggiare del Picchio Nero su qualche albero antico, dalla pioggia che arriva fitta all'improvviso e che, altrettanto improvvisamente, se ne va per lasciare il posto a dei magici momenti di luce.

Io che mi guardo intorno in continuazione nella speranza di veder sopraggiungere l'Ursus Arctos.
Poi ecco che, senza nemmeno fare un ben che minimo rumore, arriva lui e vengo improvvisamente trasportato in una dimensione magica. Una femmina con un piccolo dell'anno precedente si presenta, in modo assolutamente silenzioso, nell'area del capanno. È davvero sorprendente come un animale di tali dimensioni si muova in modo tanto silenzioso. Non lo si sente nemmeno arrivare. Gli unici rumori uditi sono quelli delle rocce spostate, e poi riposizionate, alla ricerca di cibo o i versi piuttosto teneri del piccolo che ogni tanto si avvicina alla madre. 

La foresta di Kocevje non rispecchia i tipici ambienti dove si è usi vedere fotografati orsi bruni, vedi le foreste ordinate della Finlandia, o le situazioni di pesca nei fiumi dell'Alaska. Qui l'ambiante è molto selvaggio e “disordinato”. Un misto di tronchi caduti e li rimasti, di rocce molto chiare a far da contrasto alla dominante verde-marrone scura dei tronchi degli alberi e del loro fogliame. 

Mi è piaciuta l'idea di ambientare molto gli animali, non solo gli orsi ma anche una faina molto simpatica, una volpe super sospettosa, qualche ghiandaia e alcuni caprioli, che sono riuscito a fotografare. Mettere insomma in risalto anche l'ambiante circostante caratterizzato, a volte, da alberi secolari e come sfondo il monte di fronte che assume le tonalità del blu, sovrastato dall'azzurro più tenue del cielo. 

Dopo un po' di tempo trascorso in compagnia del, o dei plantigradi, la giornata volge al termine. Scende il crepuscolo. È ora di lasciare il capanno. Una volta usciti dal capanno c'è un tratto da compiere a piedi per raggiungere l'auto. La luce è ormai molto tenue. Prendo un ramo abbastanza robusto ed inizio a batterlo qua e la, ora sui tronchi degli alberi maestosi, ora su quello di qualche altro che giace a terra ormai quasi immerso nel terreno. 

Cerco di farmi notare con continui rumori in modo da avvisare qualche eventuale orso in zona della mia presenza e non coglierlo di sorpresa. Normalmente qui gli orsi non manifestano aggressività nei confronti dell'uomo e si limitano ad allontanarsi. Però è sempre meglio avvisarli della nostra presenza parlando ad alta voce o facendoci perlomeno sentire. Le femmine in compagnia dei piccoli potrebbero percepire la presenza dell'uomo come un pericolo per i cuccioli, per esempio. Anche il muoversi in quell'ambiente selvaggio con la scarsa luce rimasta richiede un po' di attenzione. Ci sono ostacoli ovunque, rocce scivolose, rami che spuntano dal terreno, fessure fra i sassi in cui si rischia di rimanere incastrati con un piede. 

Giunto alla macchina mando l'ultimo saluto ai meravigliosi animali che mi hanno fatto, almeno a tratti, compagnia durante il tempo trascorso nel capanno e mi avvio verso quella che per qualche giorno sarà la mia casa.
Anche fuori dalla foresta c'è una pace incredibile. Attraverso piccoli paesini per i quali sembra essersi fermato il tempo. Ovunque si respira calma e tranquillità. La gente del posto è molto ospitale e disponibile a raccontare dei loro luoghi. 

La Slovenia è senz'altro una terra da prendere come esempio della buona convivenza fra i “temuti” orsi e l'uomo. Qui la densità di plantigradi è piuttosto elevata ma questo non turba affatto le persone che ho incontrato durante il periodo trascorso a Kocevje anzi, ne parlano con molto amore e tenerezza.
SP.


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